Racconti d'artista. Piove e tira vento, la città fantastica di Piero Fogliati nel ricordo di Andrea Sirio Ortolani, gallerista di Osart

Un autore fuori dalle rotte, misterioso per vastità di ricerca e a lungo dimenticato dalla critica e dalla storia dell'arte.

Le sue sperimentazioni potrebbero ricordare l'opera di Meliès oppure di Moholy-Nagy, ma hanno un accento personalissimo.

Con esordi nella pittura informale, Piero Fogliati (1930-2016) è cresciuto nell'ambiente torinese dei primi anni Sessanta, per scegliere una sua personalissima strada nella scultura.

Fin da subito è ben distante dalle linee guida poveriste dei colleghi, ma anche da quelle astratto-cinetiche a cui più spesso viene associato. 

La sua scultura, che ha a lungo condiviso il campo di sperimentazione con il teatro di Arrigo Lora Totino, mira a cogliere e imprigionare la luce, ma anche il movimento, si potrebbe dire la vita.

Per questo si anima, gorgoglia, addirittura respira.

Non importa se la suggestione è umana o animale, reale o virtuale, le sue creature meccaniche e cinetiche concretizzano evanescenti apparizioni.

Riflessi e oscillazioni materializzano un percorso visionario che arriva a immaginare creature a scala urbana in una Città fantastica, una scultura nel paesaggio che si animasse con la mutevolezza del tempo, del sole, del vento, perfino della pioggia, immaginando gocce colorate a cadere su di noi.

Alla scoperta di questa ricerca ci conduce il gallerista che ne segue l'opera, Andrea Sirio Ortolani della milanese Osart.

 

Come racconterebbe in breve i suoi esordi, i compagni di strada e l’ambiente torinese in cui si è formato?
Quali sono state le applicazioni delle sue opere nel teatro? Descriverebbe alcune delle sue macchine-scultura?
Qual è la relazione con l'arte ottico-cinetica? Suono, movimento, respiro, riflessi, luce, qual è il suo sogno irrealizzato?

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